Gucci scompagina i modus operandi della grande industria della Moda globale

Gucci scompagina i modus operandi della grande industria della Moda globale, incidendo sui percorsi culturali della stessa.

E Massimo Mantovani, fashion photographer di origini carpigiane, lo aveva anticipato (clicca qui per leggere la sua ultima intervista), in medias res, nel corso del drammatico focolaio pandemico, dimostrando una lungimiranza piuttosto singolare, sostenuta da una profonda conoscenza in merito al settore moda.

Ma andiamo per gradi.

Durante il weekend, Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, ha pubblicato sui social una serie di “appunti dal silenzio” nei quali dichiara che la griffe fiorentina prenderà definitivamente le distanze dai tradizionali appuntamenti della moda preferendo seguire un iter personale.
Perchè?

Le modalità in cui un brand storico a livello planetario possa raccontarsi al suo pubblico non possono essere incalzate dalla “tirannia della velocità”.

Per questo motivo Gucci ha deciso di svincolarsi da una serie di scadenze brutalmente imposte e che hanno il potere di avvilire la creatività.
Insomma, parola d’ordine a partire da questo momento: rallentare i ritmi produttivi.
Puntare sulla “sottrazione di eventi” per giungere a una “moltiplicazione di senso”. Questa la scintilla scatenata dallo storico brand di lusso.

Sembra quasi abbia letto nel pensiero di Massimo Mantovani che già un mese fa ammoniva su “un’ansia del fashion” proiettata verso una deleteria iper-produzione dalla quale escono “sconfitti” i veri produttori della moda che si sentono vessati da una richiesta flash, da input momentanei, effimeri, senza profondità.

Lo stesso fotografo, noto a Carpi e in Italia per i suoi esclusivi lookbook, nelle interviste rilasciate in questo periodo si è spesso opposto al modo di fare di talune grosse aziende, giudicato troppo “commerciale” ed aggressivo.
Si tratta, nella buona sostanza, del modello di business proprio delle aziende del fast fashion, fondato su moltissime uscite annuali “scopiazzate” dai brand id lusso, e composte però da prodotti di scarsa qualità, a basso costo, poco durevoli, inquinanti e realizzati con filati sintetici, incredibilmente scadenti.

Mantovani sostiene da tempo che le aziende del lusso (come Gucci) lamentano una condizione per la quale si sentono costantemente oggetto di plagio e vedono i loro spunti creativi mortificati da una produzione forsennata e tuttavia niente affatto duratura a causa del business “violento” delle aziende del fast fashion.

In effetti, avete mai gettato via un modello di una borsa Louis Vuitton? Crediamo di no.
Piuttosto, i modelli più vetusti diventano vintage, assumono altra veste, percorrono altri sentieri, ma restano sulla scia del fashion, di certo non finiscono in pattumiera.

Insomma, voleranno presto gli stracci all’interno dell’industria della Moda e pare incombere all’orizzonte una guerra tra due modelli commerciali e di marketing contrapposti che fino a questo momento si sono sopportati a vicenda, hanno convissuto, sebbene uno dei due, (quello del lusso), abbia sempre biasimato la portata insulsa dal punto di vista creativo dell’altro.

La domanda, adesso, è: le aziende medio-piccole, quelle che non godono ancora di una fama così poderosa ma che si inseriscono a pieno regime all’interno del fatturato italiano della moda, da che parte saranno?

Prediligeranno la strada intrapresa da Gucci e dai brand di lusso, concentrandosi su un racconto creativo e originale e su una qualità eccellente dei filati, oppure seguiranno la strada aggressiva delle aziende del fast fashion con uscite annuali frenetiche e furiose ma totalmente mediocri?

La ricetta di Massimo Mantovani, scrupoloso osservatore del settore, è presto detta.
Una media o piccola azienda di moda può permettersi di contendersi il mercato con colossi produttivi che possiedono giganteschi negozi monomarca in tutte le città del mondo oltreché una rete logistica mondiale?
Pare proprio di no.
E dunque, che cosa devono fare?
Per Mantovani, bisognerà puntare su delle parole chiave precise quali: esclusività della collezione, qualità dei materiali, design nei confezionamenti.
Insomma, trovare la propria nicchia di riferimento e coltivarla con zelo. Comunicando nel migliore dei modi sul web, servendosi dei servizi della tecnologia e dell’online (vendite online, campagne social di web comunication).

Ma non finisce qui. Massimo Mantovani lancia un’altra pungente provocazione: chi copieranno, adesso, le aziende del fast fashion se i brand di lusso decideranno di seguire la strada di Gucci lesinando sulle uscite annuali?
Staremo a vedere.

Articolo scritto dalla giornalista Viola Scotto di Santolo

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